"Detective Pikachu" e gli occhi dei bambini
“Gli uomini hanno cominciato a filosofare, ora come in origine, a causa della meraviglia” e nulla è cambiato da quando Aristotele scrisse queste parole nella sua “Metafisica”. Cerchiamo ancora, con fiduciosa disperazione, un modo per comprendere il vasto mondo che ci circonda, questo enigma irrisolvibile poiché di per sé insolvibile dalle nostre forze più che limitate. La ragione, questo poderoso e potente strumento, ci viene in soccorso fornendoci la possibilità di creare degli schemi per dare e trovare valore in questa caotica danza coreografata dal metronomo del tempo. Peccato che queste teorie, questi balzi di Fonzies oltre lo squalo, sono state, sono e saranno eternamente confutate dal mondo pronto a dimostrarci il contrario. Alcuni definirebbero questa una fonte, se non la fonte, di ogni possibile frustrazione dell’essere umano. Dopotutto “questo è il dilemma: se sia più nobile nella mente soffrire colpi di fionda e dardi d'atroce fortuna o prender armi contro un mare d'affanni e, opponendosi, por loro fine?”. Ma il punto, ciò che ci va a definire come esseri umani, è proprio lì: noi siamo quell'uguale tempra di eroici cuori che tenta, nonostante lo sferzare del tempo, di resistere, cercare, trovare e non arrendersi mai per spingersi un po’ più in là del proprio naso. Siamo esseri umani, siamo incoscienti idioti che hanno deciso di mettere un piede oltre la terra della propria piccola isola di placida ignoranza. In tutto questo, però, notiamo sempre di più come la figura del cinico, di colui che s’è piegato alla vita, sia costantemente più amata e presente. Abbiamo tutti presenti quei personaggi rassegnati all’esistenza come un susseguirsi di dolori e niente più, gli occhi, un tempo radiosi come i nostri, ora resi opachi dall’infuriare del tempo. Ci stiamo sempre più spesso abituando all’idea dello spegnersi, ad una retorica della stanchezza, che ci priva della meraviglia, dunque di vivere. Fortemente frainteso, almeno a parere dell’autore che sta scrivendo queste poche righe, è il perfetto esempio di questo atteggiamento: Gregory House della serie omonima. House è manifesto di questa visione del mondo, di una misantropia capace di serpeggiare nell’animo delle persone e renderle lentamente aridi deserti desideriosi che in nessun altro fiorisca alcunché. Eppure la serie, tutta la serie, è votata al concetto opposto: è un inno a non essere come House, è un inno a ribellarsi al morire della luce ed essere felici. Lo stesso protagonista percorre un lungo percorso solamente per comprendere un concetto semplice e saliente: la vita è troppo corta e troppo lunga per non essere spesa appieno.
“Detective Pikachu” s’inserisce perfettamente come contrasto a questa retorica del trascinarsi stancamente. Con Tim Goodman, Pikachu, Lucy Stevens e Psyduck non viaggiamo solamente attraverso un mondo fantastico pieno di creature bellissime, bensì dentro Tim stesso ed il suo decidere, finalmente, di vivere appieno la propria vita. Il protagonista del film che conosciamo all’inizio, infatti, non è altri che quell’individuo che ha deciso di piegarsi agli eventi lasciandosi in balia del Fato. Tim non prende alcun tipo di decisione, semplicemente accetta quello che viene a lui fornito passivamente, ma sarà proprio l’incontro con il Pikachu di suo padre a rivoluzionare tutto, a renderlo consapevole di quanto una scelta possa cambiare tutto. Questo, ovviamente, non vuole essere un discorso desideroso di assumere l’essere umano come un assoluto capace di determinare il mondo fuori di sé, bensì solamente un debole tentativo di mostrare come il mondo, visto con gli occhi di un bambino, possa essere sorprendente. Tim riesce a ritornare nel mondo dei vivi proprio grazie al diradarsi delle nubi che affolavano i suoi occhi, niente più e niente meno. Meravigliarsi davanti a ciò che abbiamo davanti è la chiave per vivere appieno, fosse anche solo stupirsi dell’esuberanza di una giornalista ambiziosa o del fatto che un topo giallo sappia parlare. Non è un caso che molte delle critiche che verranno mosse a questo film deriveranno da una visione disincantata della pellicola. Ci si lamenterà dei colpi di scena prevedibili, della CGI altalenante, della semplicità della trama e tanti altri piccoli punti, assolutamente validi, che, però, dimostrano la chiave di volta del ragionamento: il film non è stato visto come da un bambino. “Detective Pikachu” va lasciato fare il suo lavoro, ovvero prendere lo spettatore per mano alla volta di quel mondo capace di lasciare senza parole. Non è facile, questo va detto, mettersi in gioco e lasciarsi toccare da qualcosa, fosse anche solo un film. Lasciarci emozionare richiede coraggio, poiché non sappiamo cosa potrebbe accadere: così come amando una persona, non abbiamo potere sul potere che essa esercita sul nostro spirito. Eppure dobbiamo accettare che bello non sia ciò che permane, ciò che resta, bensì è il privilegio di poter vivere, in quel momento del tempo e dello spazio, quella data esperienza: è un privilegio poter assistere a questo percorso. La storia di Tim e suo padre è perfetta nella sua semplicità, assolutamente reale e capace d’entrare in risonanza con chiunque si sia mai sentito abbandonato, dunque ogni singolo essere dipede basato sul carbonio di questo pianeta. Il coraggio di Tim d’assumersi le proprie responsabilità di fronte alle proprie scelte è invidiabile e sicuramente apprezzabile: non c’è cosa migliore da mostrare a dei bambini, pubblico al quale è rivolta questa pellicola, di un ragazzo conscio di ciò che ha fatto, dunque rendendolo anche felice di quella lenta affermazione di sé. “Questa vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione - e così pure questo ragno e questo lume di luna tra i rami e così pure questo attimo e io stesso. L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello della polvere!” (Friedrich Nietzsche, “La gaia scienza e Idilli di Messina”). In questa prospettiva dovremmo agire, permettendoci dunque di non dover temere l’eterno ritorno del tempo: Tim, coraggiosamente, ha deciso d’abbandonare la retorica della stanchezza per non svegliarsi un giorno, in preda al terrore, realizzando d’essere metà dell’uomo che sarebbe potuto essere. Questo vuole insegnarci Pikachu, questo vogliono insegnarci gli occhi dei bambini: meravigliamoci, rendiamo la nostra vita straordinaria e non temiamo le nostre azioni, poiché nostra affermazione qui ed ora. “Detective Pikachu” è un inno alla vita per i bambini, per coloro che lentamente crescono e cresceranno sulle nostre ceneri, terreno reso fertile dai nostri errori. Siamo tornati, con questa pellicola, nuovamente ai fasti dei primi film dei Pokemon, quelli di cui tutti ci ricordiamo ancora dei passaggi più che memorabili. Come dimenticare Mewtwo ed il suo “Solo ora capisco che il modo in cui si viene al mondo è irrilevante, è quello che fai del dono della vita che stabilisce chi sei”? La domanda di fondo è rimasta la stessa in entrambe le pellicole, infatti sempre dell’essere parliamo, ma in questo caso si sposta il focus dall’origine alla dimensione etica: non è più un chiedersi cosa voglia dire “essere”, bensì cosa voglia dire “essere lì”. Tim dovrà, infatti, uscire dal suo stato di apolide dell’esistenza così com’è intesa nella società di Ryme City per vivere: per lui, a differenza di Mewtwo, non s’è mai trattato di comprendere chi si sia, bensì cosa si sia in quel dato posto. Alcuni potrebbero alzare il dito gridando al conformismo, all’imposizione di un ruolo dato dal contesto in cui nuotiamo quotidianamente ed avrebbero parzialmente ragione. Noi veniamo insigniti di dati valori ed idee che vanno a formare la percezione altrui, nonostante non venga mai a svanire il mantra gridato al Gigante Di Ferro: “Tu sei chi cerchi e credi d’essere”. Come ingredienti dentro un piatto, solamente unendoci agli altri ed assumendo dei ruoli possiamo esprimerci al meglio poiché forti tutti insieme. Un singolo pezzo di carne, per quanto pregiato, succulento e di qualità, non sarà mai niente più che una materia prima che avrebbe potuto dare molto più di sé, ovvero diventare parte cosciente della Storia. Rifiutarsi di vivere, d’essere un elemento della società e dunque della Storia, non è che uno spauracchio dietro il quale nascondersi, nonostante si sappia che il coltello di Amleto stia puntando proprio verso il nostro cuore da Polonio: non siamo assoluti autosussistenti, non lo siamo mai stati e mai lo saremo. Solamente cooperando, così come Tim e Pikachu, potremmo produrre qualcosa di più grande di noi, qualcosa di cui meravigliarsi. Sembra quasi paradossale che sia stato proprio attraverso un film su un topo giallo dipendente dalla caffeina ed un ragazzino che si sia arrivati a parlare di noi, di ciò che siamo. Eppure, così come in “Solaris” di Lem, spesso dobbiamo viaggiare per mondi impossibili prima di comprendere d’aver solamente guardato dentro noi stessi. Permettiamoci d’essere bambini, permettiamoci d’avere occhi capaci di meravigliarsi, permettiamoci d’essere umani.
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