Una vita di ordinaria libido

“Non ci si deve prima odiare, se ci si vuole amare?” sussurrava il Dioniso di Nietzsche in risposta al lamento di Arianna. Libera e sconfitta dalle sevizie d’amore del suo carceriere divino, perché finalmente sciolta dalle catene del dio, ma incapace di vivere, ormai, senza una parte di sé: “Io sono il tuo Labirinto”.

“La vita di Adele”, film del 2013 di Abdellatif Kechiche, mette, ventiquattro volte al secondo, questa verità in scena attraverso la storia di Adèle e di Emma. La trama, infatti, ruota intorno alla crescita della protagonista, la quale si scopre e diventa ciò che è, rubando ancora parole del sopracitato Nietzsche, nel rapporto con quella curiosa artista dai capelli blu: l’Apollineo di Adèle, attenta alle parole di quelle persone che vivono secondo il “Si” impersonale di heideggeriana memoria, incontra il Dionisiaco di Emma. Questi momenti, queste fusioni, sono perfettamente esemplificati dalle scene di sesso che il regista sceglie di mostrare allo spettatore in tutto il loro realismo: carne, saliva, sudore, respiri, orgasmi, sussurri diventano l’atto di ribellione al caos e all’ordine, mentre la luna gronda di luce sull’altare di questo sacrificio alla vita.

Sigmund Freud, il padre della psicoanalisi, descrive questo processo in “L’Io e l’Es” come l’interazione dell’Eros, la pulsione creatrice, e di Thanatos, la pulsione della distruzione: una tensione vitale tra vita e morte, tra cigni e tifo. La libido, ovvero l’espressione dell’Eros, è l'energia, la forza dell'istinto, contenuta in ciò che lo psichiatra viennese definisce come “Es”, la struttura strettamente inconscia della psiche. La libido, dunque, è analoga alla fame, alla sete, così come il desiderio di Adèle per Emma: questa forza irrefrenabile ed irrinunciabile è un istinto fondamentale ed innato negli esseri umani. Freud ha sottolineato, inoltre, che queste pulsioni libidiche possono entrare in conflitto con le convenzioni del comportamento civile, rappresentate nella psiche dal Super-Io, ovvero quell’insieme di norme e valori socialmente condivisi. È questa necessità di conformarsi alla società e controllare la libido che porta a tensione e disturbo nell'individuo, spingendo all'uso dei meccanismi di difesa dell'Io per dissipare l'energia psichica di questi bisogni insoddisfatti e principalmente inconsci in altre forme: l’esito inevitabile dell’uso eccessivo delle difese dell'Io provoca nevrosi. Adèle, infatti, vivrà costantemente questo stridore tra le parole della propria famiglia, più conservatrice di quella della compagna, ed il mondo in cui entra ogni qualvolta i suoi occhi incontrino quelli di Emma, risolvendosi in una nuova sé: la destruendo, Thanatos, ha ucciso Adèle affinché potesse nascere ciò che è l’unione dei loro Io.

Ed è psicoanalizzando ciò che Kechiche decide di mostrarci che possiamo cogliere qualcosa in più, qualcosa che vada oltre questa fusione preliminare. Sono un nucleo fondante del film, ad esempio, le labbra di Adele, aperte nel contemplare e voraci nel mangiare, che simboleggiano, chiaramente, un’esplorazione di sé e del mondo guidata in primis dai sensi e dall’eros, quasi creando un legame spirituale con le dita di Elio di “Chiamami col tuo nome”. Gli occhi, invece, continuamente guardano in basso o altrove, sussurrando una timidezza che può trasformarsi in una aristotelica meraviglia oppure, quando il dolore erutta, in pianto disperato. Il terzo elemento, quasi una sintesi dialettica tra i due precedenti, è il tic di Adèle rispetto ai capelli. È da questo linguaggio del corpo, questa manifestazione della libido freudiana, che si palesa la coerenza del personaggio: la pronunciata sensualità di Adele si unisce al non volersi lasciare alla propria dimensione più strettamente apollinea, conducendola alla cura degli altri, ma in maniera così totalizzante da risultare sospetta, come se si trattasse di una distrazione da se stessa: la premura come “divertissement”, come distrazione da una costante tensione sessuale in cui vorrebbe annullarsi, quasi morire.

Per Carl Gustav Jung, allievo e rivale di Freud, la “libido” si costituisce come l’energia psichica in generale, presente in tutto quello che è “appetitus”, non necessariamente sessuale.  Il desiderio suscitato dalla libido non è controllato da alcun tipo di autorità, morale o altro: è l’appetito nel suo stato naturale, un bisogno del corpo come la fame, la sete, il sonno, il sesso, gli stati emotivi, affettivi. Adèle, nel proprio diventare se stessa, giunge dalla libido freudiana a quella junghiana: tutta la propria esistenza è Emma, tutto è blu. Infatti, per lo psicoanalista svizzero, la libido si esprime solo attraverso i simboli, che mediano fra la parte conscia e la parte inconscia dell’essere umano. In un secondo periodo Jung rinunciò al termine “libido”, preferendogli quello di “energia psichica” per intendere ciò che riesce a motivare l’individuo a livello spirituale, intellettuale e creativo: il sesso, per Adèle, non è più solo esercizio e compiacimento dell’Eros, ma la stessa pulsione che la fa guardare al mondo come una fonte perpetua di vita, con i propri dolori incommensurabili ed i propri piaceri indescrivibili.

Questa ragazza, dunque, esonda impetuosa fuori dai confini della parola romantica e, forse, anche del buon gusto, tutto per una ragione precisa: “La vita di Adele” sta raccontando l'esperienza della passione, la quale non è niente di limitabile, né di canonico e, soprattutto, non ha niente a che fare con la dimensione pubblica: la passione è espressione privata dei corpi ed è potentemente dinamica. È troppo dirompente perché se ne possa parlare senza alcuna modulazione: andrà cantata, tra lacrime e baci. È troppo invadente perché la si possa esprimere con una gestualità misurata: andrà ballata con la carne, là dove Adèle ed Emma non possono più cogliere dove inizi una e finisca l’altra. L'innamoramento è una realtà che trabocca dalla troppa pienezza, la cornice barocca del nostro piacere.


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