La Ragione, ovvero la forma della vita
Interrogarsi intorno alla Ragione significa interrogarsi intorno al linguaggio che utilizziamo, poiché essa è la forma che definisce il fondamento attraverso cui cerchiamo di comprendere il mondo che ci circonda. La Ragione, infatti, non è mai stata un’entità ideale e distaccata dai propri utenti, uno strumento scevro d’umanità che per una ragione fortuita venne donato dagli dei: l’uomo, nel suo moto di tendenziale curiosità e desiderio d’imbrigliare l’entropia, ha creato uno strumento condiviso, capace di rappresentare ciò che avesse davanti o nella propria intimità. Questo linguaggio, dunque, si lega a ciò che l’uomo è capace di pensare, poiché sono tra di loro direttamente proporzionali le capacità del linguaggio con quelle di pensiero: il linguaggio determina l’espressione del pensiero, il pensiero esprime la coscienza del linguaggio. Non sarebbe possibile diversamente, poiché senza un pensiero che determini la coscienza di ciò che si dice, non potrebbe nemmeno esprimere un detto e viceversa. Richiamando due grandi figure del teatro italiano del XX secolo simbolo di questo dibattito, ovvero Carmelo Bene e Vittorio Gassman, la sintesi si cela nell’anfratto tra l’apoteosi dell’espressione e la profondità del detto: lì, in quello spiraglio tra le cuciture della realtà, si cela la verità dietro le nostre parole. Questa ricerca, però, richiede uno sforzo titanico, un duello contro il Fato che continuamente dardeggia contro il curioso con frecce intrise d’un mare d’affanni, ma l’uomo ha insito in sé il superamento stesso di questo “impasse”: l’amore. La ragione ed il sentimento, dunque, non sono nemici l’uno dell’altro, ma elementi necessari l’uno per l’altro. L’uomo avrebbe gli strumenti e s’è reso più volte nella Storia una pura macchina, scevra di cuore, sentimento ed umanità, ma altrettante ha deciso di soffrire, anziché far soffrire, accogliendo in sé la propria emotività, dunque avventurandosi lungo un sottile filo di ricerca che pare continuamente dissolversi. La frustrazione sarebbe il primo sentimento ad occorrere alla sensibilità, e la “ratio”, in virtù di una natura votata alla sopravvivenza ed il benessere nei limiti della possibilità, dovrebbe sconsigliare e produrre meccanismi contrari a quel tormento che arde le carni e brucia le menti al pari dell’odio, poiché nella mente dell’amante e del intossicato dal disprezzo sempre brucia un fuoco praticamente inestinguibile. Eppure, senza guardare nell’Abisso e provarne il terrore, la vita parrebbe e sarebbe priva di una propria “ratio”, poiché incapaci di produrre coscientemente una simulazione della realtà in cui nascondere la mancanza di un elemento. L’uomo non è puro spirito apollineo, ma anche dionisiaco: è scultura, danza, poesia epica e canto tutti insieme, poiché a prescindere da quanto dolore possa portargli la capacità di sentire, è necessaria per comprendere il prossimo e l’unica, vera e sincera risposta al perché si vorrebbe interagire con un qualcuno fuori dal proprio egotismo non può che essere “Nescio, sed fieri sentio et excrucior”. L’errore di rifiutare, in virtù di una pseudo-Ragione, l’emotività nel tentativo ipocrita di voler camminare a testa alta. Questa è la “conditio” che porta a strappare via così tanto dello spirito per guarire dalle ferite del cuore che, senza neppure un cenno d’avviso, ecco la bancarotta del proprio essere sopraggiungere prima di quanto si sarebbe potuto ipotizzare, l’inizio della necrosi della propria esistenza: ad ogni relazione, ovvero l’espressione del proprio Io con un fichtiano Non-Io, sempre più poveri, sempre con meno da poter donare al prossimo. Non è la morte la vera tragedia della vita, bensì lo è lo spreco e che spreco sarebbe vivere una vita mutilata: nè la ragione, nè l’emotività possono vivere, se l’altra non l’accompagna lungo la strada. Persino nei momenti di estrema inumanità, nei momenti in cui uomini di metallo con cuori di ferro tenteranno di privare il mondo di tutta la sua miriade di colori che dirompe da ogni singolo frammento di realtà, è sempre necessario ricordare come gli unici due strumenti utilizzabili per non essere come quella massa in cui tutto perde se stesso sono quella commistione di pura Ragione ed emotività. Sono esistiti ed esisteranno momenti che andranno oltre l’umana capacità di comprensione, poiché ancora non saranno stati prodotti i termini, i sistemi, i linguaggi per coglierne la Ragione, ma non è possibile ridurre essi a semplici espressioni di un’entropica caoticità: nulla avviene per coincidenza, poiché raramente l’universo è così pigro da replicare se stesso identicamente, ma non è sempre nelle nostre capacità o nei nostri doveri dover cogliere quel barlume d’ordine nel turbinio dell’esistenza. Spesso il dovere della Ragione, e dunque degli uomini che la usano, è porre le fondamenta per le generazioni future, coloro le quali saranno responsabili a loro volta di superare i limiti dei loro predecessori e tentare di comprendere sempre qualcosa in più. Il percorso verso la conoscenza non è mai individuale, ma collettivo e solidale, poiché altrimenti non avrebbe nemmeno consistenza esistenziale: nulla di ciò che conosciamo è reale fintantoché non lo condividiamo. Ecco come la Ragione, la “ratio”, diventa la forma della vita.
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